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L’idromele Parte prima - Recensione

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L’idromele è una sostanza tra le più antiche del mondo e rimanda alla bevanda prediletta di Odino, che era il dio della poesia. Esso ha sempre rappresentato la capacità di poetare o, meglio, di rileggere il mondo in chiave poetica. Per tale motivo, certamente, Manuel Paolino, triestino, classe 1977, lo ha scelto come titolo della summa di versi che ha pubblicato in due volumi per i tipi de ‘Il seme bianco’. Si tratta di poesie che coprono un lungo arco di tempo e che rappresentano il percorso intrapreso dall’autore a seguito di una chiamata ‘alle armi’ definitiva e viscerale. La suddivisione dell’opera in ‘parti’ non ha valore cronologico-temporale. Da subito, sin dall’esergo, il lettore è lasciato libero di procedere secondo il suo sentire, confrontandosi con i versi come in uno specchio che possa riflettere ciò che egli è.
“Da qualunque parte Tu lettore apra questo libro esso comincerà”.
Restiamo convinti che la grande sfida dell’arte sia quella di essere riconosciuta nella sua universalità, nel suo leggere il reale per diventare ‘oggettiva’, senza che al  fruitore venga fornita alcuna mappa. La strada poetica, in sostanza, sa svelarsi da sé, rispondendo in modo misterioso agli interrogativi di chi la percorre, sia in veste di autore che di lettore.
Il titolo di quest’opera ci parla da subito di una poesia colta, avveduta, ricca di rimandi: Garcia Lorca, ma anche il mito greco che rivive, in questi versi, sempre nuovo e potente. Una poesia che è, allo stesso tempo, saggia e profonda ma anche – come suggerisce il titolo – fluida. Che accetta l’abbaglio come momento di crescita e che appare sincera, mantenendo sempre la capacità di sapersi dentro le cose, più a fondo, parte di un disegno superiore.
“E da quassù,/ posso vedere una città brulicante di versi,/ accendersi in un liquido – d’idromele - / dai molteplici sapori”. Dove quel ‘da quassù’ indica una posizione anche scomoda, perché impone di non distogliere lo sguardo.
Che si parta dalla fine o si segua ordinatamente l’iter delle composizioni, il disegno appare chiaro, fondato com’è sulla volontà di comprendere il mondo nella sua interezza. “L’idromele” è un diario poetico che copre ben quattordici anni, offrendosi al lettore con pudore e schiettezza al tempo stesso. “Alle così care pietre/ mi siedo accanto/ prima che la mia/ valchiria arrivi/ devo contar ancor/ tutte le nubi”. E, ancora: “Vivo di passioni, come vedi/, e lascio l’anima contemplare nella veglia/ del mio sonno; caccio, o Ermete,/ puro e con i miei vizi,/ anche Dio”.
Partenze, ripartenze, città, approdi. I versi di Paolino raccontano tutto questo con grande capacità di coinvolgere il lettore, come un “fluido dolce capace di soddisfare la sete”.


(Recensione di Tullia Bartolini)

 

 

 

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